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Un’interrogazione parlamentare sul diritto al lavoro dei disabili

E’ stata presentata il 17 maggio dall’On.Codurelli (PD) una interrogazione parlamentare concernente il diritto al lavoro dei disabili e la normativa italiana in materia. Il nostro Paese è stato deferito alla Corte di giustizia Europea per la mancanza una norma che obblighi i datori di lavoro a prevedere soluzioni ragionevoli per le persone con disabilità, affinché possano avere pari opportunità nell’accesso al lavoro; nonostante la direttiva 2000/78 sia stata recepita con il decreto legislativo 216 del 2003, tale provvedimento non è stato ritenuto adeguato e sufficiente. Infatti, si legge in una nota ufficiale prodotta dalla Commissione europea, a tutt’oggi «l’ordinamento italiano non contiene una norma generale che imponga al datore di lavoro di prevedere soluzioni ragionevoli per i portatori di qualunque tipo di disabilità e per tutti gli aspetti dell’occupazione».

L’interrogazione evidenzia, in particolare, le violazioni alla legge n. 68 del 1999. Solo a Milano e provincia, nel 2010 sono state 400 le imprese che anziché assumere un disabile, in base alla normativa specifica, hanno preferito pagare le multe loro comminate. Nel territorio più industrializzato d’Italia, spetterebbero di diritto ai disabili 18.750 posti di lavoro, quelli che di fatto sono stati assegnati sono solo 6.103. Si stima inoltre che siano finiti solo nelle casse della regione Lombardia 40 milioni di euro, 10 in più rispetto al passato. E tale situazione riguarda anche gli enti pubblici e non solo le aziende private. Risulta ad esempio infatti che la provincia di Cuneo non stia adempiendo alla legge n. 68 del 1999, concernente le norme per il diritto al lavoro dei disabili: mancano infatti 16 persone in base alla legge n. 68 e 2 per le categorie protette.

Le aziende con più di 16 dipendenti hanno l’obbligo di assumere personale disabile, ma molte si fermano alla prima assunzione e poi ricorrono all’esonero, pagando la sanzione giornaliera (51 euro) per ogni posto lasciato libero, come prescritto dalla legge n. 68. Inoltre, oltre a non assumere, appena si può si licenzia il personale disabile. Rispetto a ciò, ricorda l’interrogazione, la Confindustria si giustifica sostenendo che, per quanto sia vero che bisognerebbe garantire loro posti di lavoro, occorre considerare che spesso si generano problematiche di sicurezza legate al fatto che dimenticano di dotarsi delle adeguate protezioni.

L’interrogazione chiede quindi se le istituzioni siano a conoscenza della grave situazione esposta e a fronte di tali violazioni della legge n. 68 del 1999 come intendano intervenire al fine di garantire alle persone con disabilità il diritto al lavoro così come previsto dalla legislazione vigente, dalla convenzione per i diritti dei disabili e dalle direttive europee.

Cento Orizzonti, profit e non profit scommettono insieme

Tra le esperienze presentate nel seminario di Federsolidarietà Veneto vi è quella del consorzio Cento Orizzonti. Si tratta di un consorzio stabile, nato per sviluppare una forte struttura centralizzata per l’analisi e lo sviluppo delle progettualità e di controllo dell’operatività, valorizzando al tempo stesso le realtà territoriali, in alcuni specifici settori di attività:

  • prenotazione telefonica delle visite;
  • gestione documentale;
  • archiviazione;
  • gestione di sportelli;
  • gestione di call center.

Si tratta di attività che se ben gestite hanno un forte impatto territoriale e un notevole riconoscimento sociale; è un settore particolare, non presidiato da  “società pubbliche”. Anche la cooperazione era assente; si trattava di servizi a gestione pubblica che ad un certo punto hanno inziato a rappresentare uno spazio di mercato libero (poi velocemente riempitosi), che Cento Orizzonti ha in parte occupato con un ruolo da protagonisti. Cento Orizzonti ha quindi una sola mission: “portare a casa lavoro per i suoi associati”: questo per creare e consolidare occupazione, soprattutto a favore di persone svantaggiate. Come ovvia conseguenza vi è quella di difendere gli investimenti dei soci.

Gli aspetti di particolare interesse sono la scelta societaria (Cento Orizzonti è un consorzio stabile) è il fatto che Cento Orizzonti abbia come propri associati per il 50% soggetti for profit e per il 50% cooperative sociali.

Rispetto alla forma societaria, la soluzione è stata adottata dopo averne scartato le altre che sarebbero risultati paralizzanti sul piano della partecipazione alle gare. Di fatto, in sede di gara in caso di RTI ogni volta sarebbe stato necessario acquisire la documentazione di tutte le cooperative, mentre nel caso di consorzi non stabili o cooperativi sarebbe necessario organizzare volta per volta forme di avvalimento.

La collaborazione con il profit nasce dalla consapevolezza che le cooperative sociali avevano bisogno di supporto per la parte tecnologica e avevano, da sole, minore capacità di investimento, oltre che una certa inesperienza. Il profit ha inoltre messo in mostra la capacità di investire sul fronte commerciale in misura che non sarebbe sostenibile per le sole cooperative sociali. Da parte loro le cooperative sociali hanno invece il valore aggiunto del radicamento territoriale diffuso, quello che manca alle imprese profit di medie e grosse dimensioni: la capacità di intercettare umori, informazioni, conoscenze del territorio, combinata  con la capacità di creare un interfaccia diretto con le istituzioni pubbliche locali, che consente di raggiungere mercati o nicchie di mercati che altri competitor non possono raggiungere.

Non solo inserimento in cooperativa: il futuro dei lavoratori svantaggiati

Di Sara Depedri
Il ruolo della cooperazione sociale di inserimento lavorativo può essere individuato, genericamente, nella formazione dei lavoratori svantaggiati non solo per un recupero delle loro abilità lavorative, ma anche per un inserimento effettivo nel mercato del lavoro. Sull’analisi del ruolo e dei risultati raggiunti dalle cooperative sociali italiane hanno riflettuto recentemente due ricerche realizzate nel 2006 da un network universitario coordinato dall’Università di Trento e nel 2009 da Euricse (European Research Institute on Cooperative and Social Enterprises con sede a Trento) su campioni rappresentativi di cooperative sociali di inserimento lavorativo rispettivamente in Italia e in alcune province del Nord. I dati cui le ricerche giungono  pongono in luce un fenomeno che sta offrendo oggi concrete opportunità occupazionali ai lavoratori svantaggiati inseriti, seppur con ancora alcuni limiti e qualche difficoltà.

Un primo dato interessante emerge dalla differenziazione dei settori di attività in cui le cooperative di inserimento lavorativo oggi operano: non solo, anche se prevalentemente, settori a basso profilo formativo e bassa specializzazione come il settore del verde, la raccolta rifiuti e il settore delle pulizie, ma anche in modo crescente il settore manifatturiero-industriale, l’agricolo, la ristorazione e l’informatica. Inoltre, e soprattutto, molte cooperative hanno l’obiettivo esplicito di inserire i lavoratori all’interno della cooperativa possibilmente solo a fini formativi per poi accompagnarli sul mercato del lavoro aperto (obiettivo del 18% delle cooperative sociali di tipo B italiane e del 26% di quelle attive al Nord) o quantomeno prevedono percorsi differenziati che conducono all’inserimento interno o esterno alla cooperativa a seconda della tipologia di svantaggio e delle caratteristiche del soggetto inserito (politica che caratterizza il 52.2% delle cooperative sociali italiane ed il 39.4% di quelle del Nord).

Questa varietà di percorsi formativi e professionalizzanti e di settori di attività ha condotto ad ampliare le possibilità di assunzione dei lavoratori svantaggiati anche di lungo periodo e presso altre organizzazioni. Dalle ricerche condotte, il 74% dei soggetti svantaggiati inseriti risultava assunto in cooperativa con contratto a tempo indeterminato e questo dato dimostra già una volontà dell’organizzazione di tutelare la posizione lavorativa nel lungo periodo qualora non si aprano soluzioni occupazionali alternative. Inoltre e soprattutto, tra i lavoratori intervistati nelle province del Nord che nel 2007 hanno terminato il loro percorso di inserimento lavorativo nelle cooperative, ben il 52,3% ha trovato un’occupazione all’esterno dell’organizzazione, prevalentemente presso imprese for-profit (la metà di tali lavoratori), ma anche in altre tipologie di imprese e solo secondariamente in altre cooperative o in enti pubblici.

Tali dati indicano complessivamente una discreta capacità di collocamento sul mercato aperto grazie all’esistenza di relazioni con il contesto imprenditoriale locale. Non stupisce quindi che alla domanda sulla fattibilità dell’inserimento esterno, la maggior parte delle cooperative (41%) sostenga che sia possibile solo instaurando forti legami con le imprese locali e solo per alcune categorie di svantaggio più facilmente inseribili in contesti non protetti. La probabilità di non giungere a conclusione del progetto o di collocamento esclusivo all’interno della cooperativa risulta infatti notevolmente più elevata per i disabili psichici (per cui vale la legge sul collocamento obbligatorio) e fisici e dei tossicodipendenti e per le prime due tipologie di disagio è più elevata anche la probabilità di essere inseriti in un ente pubblico (Legge 68/99).

Un quadro, in conclusione, che induce a considerare le cooperative sociali come efficaci attori per l’inserimento dei soggetti svantaggiati sul mercato del lavoro aperto. Ma affinché questa efficacia cresca ulteriormente è necessario il rafforzamento di partnership con possibili imprese interessate all’assunzione dei soggetti formati; partnership che possono essere inoltre un metodo per superare le crescenti difficoltà generate dalla crisi economica ed occupazionale.

Dal macro al micro, dati dal seminario di Milano

Nel seminario di Milano del 10 febbraio è intervenuta Sara Depedri, dell’Università degli Studi di Trento, che ha presentato alcune slide in cui si riassumono dati delle ricerche di Euricse e di altri enti. Nei prossimi giorni saranno pubblicati alcuni articoli che approfondiscono nel merito i temi, per cui ci si limita oggi e illustrare la struttura della presentazione ed alcuni dati.

Viene proposta in primo luogo un’analisi macro (slide 5-7), in cui sono richiamati i principali dati sul numero di svantaggiati inseriti, sulle categorie di svantaggio e, per quanto possibile, sull’evoluzione di questi numeri. L’ultima indagine sull’universo delle cooperative risale al 2005 (Istat) e documentava l’inserimento di oltre 39 mila persone svantaggiate, oltre il 54% dei lavoratori delle cooperative di tipo B.

Le successive slide sono dedicate ad aspetti micro; si inizia con l’analisi dell’organizzazione, dove emerge l’orientamento a aumentare e differenziare le categorie di svantaggio inserite, la prevalenza di rapporti a tempo indeterminato e lo stretto rapporto con i servizi pubblici invianti. La grande maggioranza delle cooperative lavora attraverso progetti individualizzati e prevede un tutor nonché, in più della metà dei casi, un responsabile sociale degli inserimenti lavorativi. Rispetto agli esiti dei percorsi di inserimento, nella maggior parte dei casi la scelta tra integrazione stabile in cooperativa e inserimento all’esterno è fatta sulla base delle caratteristiche di ciascuna persona e della ricettività del mercato.

I dati esposti consentono quindi di individuare come tra i lavoratori non certificati come svantaggiati vi è un gruppo, caratterizzato da bassa istruzione, provenienza dalla condizione di disoccupazione e età non più giovane che è portatrice di caratteristiche che espongono al rischio di esclusione di lungo periodo dal mercato del lavoro.

Le ultime slide, (dalla 20 in poi) sono dedicate ad aspetti motivazionali e mettono il luce le diverse sfumature economiche, relazionali di altro genere alla base della scelta di operare nelle cooperative sociali di inserimento lavorativo.

Venerdì si è parlato di inserimento lavorativo a Torino e a Firenze… Oggi si parla di Libro Verde in Sardegna

Le cooperative B sono poco visibili?

Si pubblica di seguito un contributo tratto dalla IV edizione dell’Osservatorio ISNet sulle imprese sociali. Secondo i dati ISNet, emerge una situazione paradossale. Da una parte, anche le imprese for profit cercano oggi un ruolo da protagoniste dei temi legati alla sostenibilità e all’impegno sociale, sempre più rilevanti per un pubblico di consumatori non più interessato solo ai requisiti funzionali dei prodotti e servizi. Dall’altra le cooperative sociale di tipo B, che costituiscono un modello di eccellenza in questo campo, spesso mancano di visibilità e di un corretto posizionamento di immagine, lasciando così alle imprese for profit campo libero nel presidio di una comunicazione di supporto agli acquisti di utilità sociale.
Il dato della IV° edizione dell’Osservatorio Isnet sulle imprese sociali che fotografa i livelli di dinamicità relazionale su un Panel rappresentativo di cooperative sociali, non lascia dubbi in merito.Tra i vari stakeholders, la relazione con i media è quella che presenta per le imprese sociali gli indici più bassi:

Oltre la metà delle cooperative sociali non ha alcun contatto con i media, e i livelli di soddisfazione si attestano su valori bassi ed in costante diminuzione. Se le cooperative sociali, nella maggior parte dei casi, sono poco propense ad utilizzare strumenti di marketing per ottenere visibilità, è anche vero che i media, almeno quelli generalisti, continuano a dare poco spazio a questa particolare forma di impresa e quando lo fanno spesso prevale un’ottica parziale che ne enfatizza la dimensione “caritatevole”.

Inoltre, non sono rari i casi di cooperative che sottovalutano la portata sociale del proprio operato, quasi tenendo la propria mission sottotraccia, con l’obiettivo di farsi valutare in modo prioritario a partire dalla qualità dei propri prodotti e servizi, alla stregua delle imprese profit. A fronte di un consumatore sempre più in cerca di esperienze, oltre che di prodotti e servizi, le cooperative sociali potrebbero invece godere di un vantaggio competitivo legato alla propria identità.

Naturalmente non mancano, nell’indagine ISNet, le iniziative di rottura e di cambiamento di prospettiva, rappresentate dalle molte cooperative sociali che negli ultimi anni hanno compreso l’utilità di “uscire allo scoperto”, senza toni retorici, ma con l’obiettivo di evidenziare la compresenza al loro interno della dimensione economica, sociale e partecipativa.

Qualche volta le cooperative B fanno fatica

Nel seminario di Federsolidarietà Puglia del gennaio scorso, accanto alle esperienze di successo, è stata raccontata anche un’esperienza difficile, che merita di essere raccontata per riflettere sul tema del mercato in cui opera una cooperativa sociale di tipo B.

Una cooperativa sociale salentina aveva deciso, dato i buoni esiti che stava riscuotendo sul mercato, di fare degli investimenti realizzando due settori produttivi a livello industriale, una dedicato alla cartotecnica e l’altro alla legatoria, superando ed abbandonando il livello artigianale. A causa del cambiamento del mercato, che si è manifestato al termine della realizzazione degli investimenti, la cooperativa ha iniziato a subire una forte crisi. Il settore della cartotecnica, infatti, si è trovato a competere con l’ingresso sul mercato dei prodotti asiatici; lo stesso è avvenuto per il settore della legatoria, dove nonostante l’abbattimento degli oneri sociali per l’assunzione dei soggetti svantaggiati, la cooperativa non è stata in grado di competere con i prezzi dei prodotti offerti dai mercati asiatici. L’esperienza si è risolta con la vendita della struttura ad un’impresa profit e l’abbandono del sogno e progetto di inserimento lavorativo attuato in forma cooperativa.

L’esperienza ha insegnato, innanzitutto, la necessità di orientare la cooperativa alla stregua di una qualsiasi altra tipologia di impresa presente sul mercato ed operante nello stesso settore produttivo ma anche l’opportunità di usare chiavi di lettura del mercato simili a quelle del mondo profit, capaci di leggere i cambiamenti in atto e prevenirne le eventuali conseguenze. Allo stesso tempo, si è evidenziata l’urgenza di avviare delle strategie di collaborazione ed azioni innovative con il mondo delle imprese profit, che possano supportare i processi e progetti avviati dalle cooperative sociali, valorizzando il contenuto della mission aziendale di queste ultime.

Emilia Romagna, le cooperative che resistono alla crisi

I lavori del seminario sul libro verde di Bologna del 7/2 sono stati aperti dal presidente di Federsolidarietà Emilia Romagna Gaetano De Vinco, che nella sua relazione, di seguito sintetizzata, ha evidenziato i dati principali della cooperazione emiliano romagnola.

La cooperazione sociale emiliano romagnola ha reagito  alla pesante crisi economica di questi ultimi anni: ha continuato a crescere aumentando ulteriormente la propria presenza sul territorio. Nel periodo 2007/2010 a livello aggregato il valore della produzione sviluppato in regione dalle cooperative sociali di Confcooperative è aumentato costantemente con una crescita a due cifre (+12,5%) tra il 2007 ed il 2008 (da 510 a 575 milioni di euro), del 5,6% tra il 2008 e il 2009 (607 milioni) e del 7% nel 2010, quando il volume d’affari ha raggiunto i 650 milioni.

In progressivo aumento anche gli occupati, passati dai 14.600 del 2007 (di cui 10.750 soci lavoratori) ai 17.950 del 2010 (di cui 12.950 soci lavoratori). I soci totali sono saliti da 23.500 a quasi 26.000 unità. Trend in aumento, infine, anche per le cooperative sociali aderenti a Federsolidarietà/Confcooperative Emilia Romagna, passate, nel quadriennio 2007/2010, da 386 a 411 con un aumento pari a circa il 6,5%. Di queste, 149 sono cooperative di tipo B, vale a dire specializzate nell’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, che nel 2010 hanno raggiunto le 1.486 unità (+12,7% sul 2009). Da segnalare inoltre il dato decisamente positivo riguardante gli ammortizzatori sociali: nel biennio 2009/2010, il periodo in cui la crisi economica si è fatta sentire più pesantemente, anche in Emilia Romagna, all’interno della Federsolidarietà regionale la cassa integrazione ha interessato complessivamente soltanto 9 cooperative per un totale di 110 lavoratori.

Con ciò non vengono nascosti gli elementi di difficoltà: la progressiva diminuzione delle risorse pubbliche, il costante allungamento dei tempi di pagamento da parte della Pubblica Amministrazione, la sempre più onerosa gestione delle procedure, la contrazione dei margini operativi lordi. Tutti questi fattori rappresentano un rischio per la sopravvivenza di centinaia di imprese sociali con particolare riguardo alle cooperative specializzate nell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, che  devono fare i conti inoltre con la tendenza delle industrie a reinternalizzare i servizi a causa della crisi e con la propensione delle società multiservizi a concedere lavoro alle cooperative di inserimento lavorativo solo se queste applicano i contratti in vigore per le aziende di Confindustria.

Quali reti per l’inserimento lavorativo

Oltre al contributo pubblicato ieri, Federsolidarietà Veneto, in preparazione al seminario regionale del 15 marzo, ha prodotto altri due documenti; uno, dedicato alle alleanze, le reti e i rapporti delle cooperative sociali è di seguito riprodotto.

Su quali rapporti puntare

Innanzitutto con i clienti (Enti Pubblici ed Aziende), con gli  Attori pubblici locali, investendo nella co-progettazione (Comuni, Province, Regione), con gli stakeholder che ne condividono obiettivi e intenti (Associazioni e Consorzi, ma anche fondazioni, banche ed istituti di credito). È importante che la cooperazione sociale non viva solo di bandi, ma che cerchi anche un dialogo con fondazioni e bandi per raccogliere fondi da re – investire nelle proprie attività.

Alleanze per la crescita delle persone

Stringere alleanze anche con scuole (provincia, assessorato all’istruzione) già dall’inizio del percorso formativo della persona è importante per non trovarsi poi con ragazzi/adulti di cui non si sa niente o poco e quindi è difficile costruire dei percorsi.

Tre direzioni per costruire reti

1) Contesto della cooperazione: una cooperativa non può restare fine a se stessa (soprattutto le B), dinanzi alle domande e sfide che vengono richieste dal mondo imprenditoriale/produttivo. Fondamentale in questo senso l’importanza della Federazione, una cooperativa è agevolata se è dentro un contesto di consorzio territoriale, e importanti sono anche gli accordi tra consorzi trasversali per territori, non tanto e non solo per materia. La costruzione delle reti, lavoro che va riconosciuto come fondamentale, ha permesso e permette alle cooperative dei nostri territori di avere legami, contatti e opportunità non solo a livello locale ma provinciale o regionale. inoltre si deve tenere presente che la concorrenza l’abbiamo al nostro interno, oltre che al mondo profit.

2) Contesto del mercato: nel mercato non esiste il privilegio, nel mercato esiste la convenienza (e la concorrenza). Concetto del bene comune: inteso come bene comune delle cooperative che si alleano e della comunità nella quale si svolge il servizio. I nostri interlocutori nel mercato sono l’ente locale e l’azienda.
2a) Ente Locale: oggi vede nella cooperazione non più un soggetto di collaborazione ma uno strumento da sfruttare per mantenere determinati servizi a costi inferiori. Dando meno valore all’inserimento lavorativo e più valore al massimo ribasso (indipendentemente da chi lo offre). Anche la legislazione specifica che permetterebbe affidamento diretti, è conosciuta solo da alcune parti dell’ente (solitamente quella politica), e non da altre (funzionari, dirigenti). Alcune esperienze soprattutto nei piccoli comuni hanno portato a essere interlocutori ed esecutori di alcuni strumenti e soluzioni con la pubblica amministrazione, per cui riteniamo necessario sempre più essere competenti in termini tecnici per offrire la soluzione.
2b) Aziende profit: sul rapporto con le aziende ultimamente stiamo vedendo l’associarsi in ATI ad aziende per partecipare ad appalti, lavorando insieme su costruire clausole sociali. È un mercato in cui si supera la logica della concorrenza associandosi, non si può chiedere all’azienda di fare il bene sociale. L’imprenditore vede la sua prospettiva profit, il sociale deve proporgli l’abbinamento con il valore sociale, e l’abbinamento deve essere di plusvalore, non di “plusfiga”.  È necessario diffondere un cambio di mentalità per fare questo salto mentale, per essere interlocutori alla pari, per chiedere e avere lavoro secondo nuove prospettive.
2c) Banche e finanza: non facciamo sviluppo finanziario, facciamo pochi mutui, abbiamo paura. Le cooperativa sociali hanno soldi fermi, non hanno un progetto di sviluppo finanziario. Rispetto alla finanza è necessario cambiare mentalità all’interno della cooperativa, nella quale vengono messe in atto e prese scelte di massima garanzia perché la scelta poi ricade su tutta la base sociale, questa non è una mentalità imprenditoriale, non c’è rischio di impresa, che è elemento fondamentale nella scelta e nel fare azioni finanziarie.

3) Contesto dell’inserimento lavorativo: manca forse una riprogettazione di tutta la filiera. La fase di formazione vera e propria propedeutica all’inserimento lavorativo, dobbiamo lasciarlo ad altri (es. coop. Tipo A), perché deve arrivare in B già “produttivo”, sia esso normodotato o svantaggiato. Inoltre bisogna rafforzare le relazioni con i servizi per l’inserimento  lavorativo, con le scuole, come enti di collegamento per la cooperazione, con gli Enti di formazione.

15 marzo, tocca al Veneto

Federsolidarietà Veneto ha fissato per il 15 marzo il proprio seminario di discussione sul Libro Verde, che approfondirà il tema “Inserimento lavorativo, mercato, impresa“. Di seguito è riportato un documento elaborato su questo argomento dalla Federazione Veneta in preparazione all’incontro.

Inserimento lavorativo, mercato, impresa

Prima di tutto è necessario soffermarsi sulle caratteristiche di intervento delle cooperative d i tipo b:

  • quelle orientate maggiormente a un lavoro di accoglimento e transito in cooperativa (e quindi più vicine all’intervento alla persona e più attente quindi agli strumenti di politiche attive del lavoro – modello emiliano);
  • quelle caratterizzate da una più marcata attenzione al mercato (modello veneto – lombardo).

Tra le caratterizzazioni di queste ultime c’è una netta distinzione tra quelle che operano sostanzialmente nel mercato dei servizi o produzione per l’ente pubblico (la maggioranza) e quelle che operano nel mercato, evidenziando che tale caratterizzazione qualifica ulteriormente la capacità di far sintesi tra le regole di mercato e l’accoglienza lavorativa delle persone svantaggiate. Si è comunque registrato che esperienze significative di collaborazioni con clienti committenti privati siano più facili e duraturi con le aziende grosse e con marchi importanti con cui poter tradurre con numeri significativi il collocamento di persone svantaggiate; più stentata la situazione registrata tra le piccole realtà che stanno soffrendo la crisi generalizzata e che spesso si trovano a dover ricostruire offerte di servizi per continuare nella sopravvivenza.

Si è annotato successivamente il sostanziale fallimento dell’applicazione degli art. 12, 12 bis e 14, suffragato dai dati generali emersi tra quelli consegnati e questo a causa di evidenti variazioni di mercato, dall’aumento delle aziende in crisi, dalle deroghe ottenute, ecc. Si ritiene possano esserci ancora buone opportunità da esplorare spingendosi nei territori ove operano le grandi aziende, che, come detto prima, riescono con maggior facilità a comprendere il valore e il vantaggio complessivo di operazioni di questo tipo. Permane la necessità comunque di rivedere gli attuali schemi di applicazione particolarmente gravosi e la forte resistenza delle associazioni di rappresentanza delle persone invalide. Inoltre le Provincie, che hanno competenza in ciò, non supportano adeguatamente tali iniziative.

Molto spazio è stato dato all’approfondimento circa il concetto di sostenibilità aziendale che naturalmente può trovare diversa declinazione all’interno di ogni realtà. In sostanza si evidenzia la necessità di dare un indirizzo (il più persuasivo possibile) alle cooperative (soprattutto quelle piccole e piccolissime) nel mirare o individuare strategie di crescita, accorpamento, fusione tra varie realtà, al fine di poter organizzare con competenza, qualità e conseguente competitività la propria proposta di produzione di beni o servizi.

Tali risultati sono raggiungibili anche attraverso la partecipazione in Consorzi, con l’accortezza però che sia ben chiara e condivisa la natura imprenditoriale degli stessi (consorzi di scopo o di sole tipo b) e che abbiano un’adeguata autonomia dagli ambiti politici di rappresentanza associativa garantita invece all’interno delle federazioni.

Meno marcata la discussione sul concetto di territorialità e su quali debbano essere le strategie imprenditoriali di crescita in altri mercati o territori, ovvero il rispetto delle altre realtà cooperative che già operano in altre zone ove viene bandita una gara o si viene invitati alla partecipazione per una selezione o per un’eventuale sostituzione delle stesse. Qui il dibattito sulla concorrenza tra le tipo b è completamente aperto, serve buon senso ma rigore, va premiato chi ha saputo predisporre un’organizzazione di servizio migliorativa e all’avanguardia, ma non possono essere abbandonate quelle più indietro in tale percorso. Si torna all’invito precedente, mettere cioè tutte le cooperative nella condizione di poter crescere e migliorare, prima che il mercato e la selezione voluta (ad esempio negli enti pubblici) attraverso le gare agiscano inesorabilmente.

Si è rilevata inoltre la necessità di proseguire nel lavoro di riconoscimento dell’allargamento delle categorie di svantaggio, vista il perdurare della critica situazione economica che di fatto crea continuamente nuovi disoccupati cui spesso siamo chiamati a dare risposte di lavoro. Fasce deboli da sempre presenti nella nostra società e queste nuove povertà sono in forte aumento: vanno definite le misure a sostegno a queste persone.

L’orgoglio di vivere del proprio lavoro

La cooperativa Nuovi Sentieri è stata presentata come buona prassi da Federsolidarietà Puglia nel seminario del 24 gennaio. La cooperativa opera nell’inserimento lavorativo dei soggetti diversamente abili (che rappresentano ben il 70% dei lavoratori) attraverso la gestione inizialmente dei servizi di pulizia e, da qualche anno di serre per la produzione di piante aromatiche. Il problema che la cooperativa ha dovuto subito affrontare in questo secondo settore, avviato anche grazie ad un progetto Fertilità, è stato quello di come conquistare il mercato e i clienti. La cooperativa ha intrapreso un percorso di scelte molto forti ed etiche, decidendo di rispettare in toto i dettami del CCNL di riferimento, la normativa in materia di collocamento, vincoli spesso disattesi ed elusi dal mondo del privato, puntando quindi sulla realizzazione di prodotti di qualità.

Ciò che resta difficile da comunicare, sottolineano dalla cooperativa, è  il valore sociale che si nasconde dietro una piantina prodotta. Non si tratta di una semplice pianta ma di un insieme di persone che hanno la volontà di riscattarsi socialmente, di occupare un posto da cittadini a pieno titolo nel nostro Paese, distanziandosi dalle logiche assistenzialistiche che spesso governano l’esistenza dei soggetti diversamente abili. Con orgoglio e dignità, alcuni lavoratori della cooperativa hanno scelto di rinunciare alla pensione sociale di invalidità pur di poter continuare a lavorare in cooperativa e sentirsi parte attiva del ciclo produttivo della comunità in cui vivono contribuendo attivamente alla produzione del sistema economico. Tra l’altro la scelta operata da questi soggetti determina un contenimento dei costi assistenziali realizzando un importante alleggerimento dello Stato sociale e del carico familiare.

Al fine di valorizzare questa esperienza, si sta tentando, con il consorzio a cui è associata la cooperativa, di realizzare una sorta di piattaforma commerciale sul web (e-bay sociale) che possa non solo incentivare la commercializzazione dei prodotti ma anche divulgare il concetto di cooperative sociali a “doppio prodotto” (l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, in primis, e la produzione/erogazione di beni e/o servizi). È necessario, inoltre, promuovere protocolli, accordi, reti con altri soggetti presenti sul territorio e che possono rappresentare un valore aggiunto all’intera operazione sociale messa in atto dalle singole cooperative o dal movimento nel suo insieme.

Va anche segnalato che la cooperativa è stata protagonista della sottoscrizione della prima convenzione in Puglia in applicazione all’art. 12 bis della L. 68/99. La convenzione prevede, accanto allo svolgimento del servizio di pulizia,  anche il servizio di tutoraggio che fa sentire l’impresa garantita dalla presenza della cooperativa sociale di tipo B.